PICCOLA  O  GRANDE ?

di Lorenzo Parolin[L1/87]

Piccola o grande

I sordi, non potendo sentire i suoni, possono sostenere che non esiste la musica e, quando sono in tanti, possono anche arrivare a deridere il “sano” che tenta di spiegarla loro. Essi non si accorgono di essere limitati, perciò il loro atteggiamento è comprensibile. Ma qualche sordo si chiederà pure perché ci siano gli orecchi e arriverà pure a sospettare che quegli organi servano a qualcosa e a curarli fino a risanarli e, finalmente, a sentirci!
Anche l’uomo ha un “organo” al quale presta poca attenzione, anzi, che ignora. È lo spirito.
Esso, se considerato, sviluppato e reso efficiente, è capace di farci conoscere realtà incredibili, paragonabili all’udito riacquistato per un sordo.  Il corpo, dissociato dallo spirito, è menomato, e deve accontentarsi della gioia “piccola”, mentre, unito armonicamente ad esso, è in grado di accedere alla gioia “grande”.
Considerata al grado massimo, la gioia piccola può raggiungere il valore dieci, mentre, la gioia grande, anche se non saprei dire di quanto, supera il valore cento. Inoltre, la grande, non è l’espansione della piccola, in modo che si possa dire: intanto assicuriamoci quella piccola, poi, semmai, la amplieremo: le due gioie sono contrapposte.
Arrivati al dieci della gioia piccola, volendo proseguire oltre, si incontra una chiusura, una barriera che respinge chiunque. Per avere undici e più bisogna invertire la rotta, passare per lo zero e proseguire dalla parte opposta; da quella parte non si sono ancora trovati limiti.
Quota dieci sembra elevata, ma anche raggiungendola stabilmente è un livello insoddisfacente che non sazia l’uomo e non lo rende felice. La tentazione di accontentarsi della gioia piccola è grande, ma così la vita è un inferno, perché, per quanto si desideri, oltre a dieci non si va,  e più si prende la rincorsa più si sbatte forte.
Gli antichi, dopo aver provato e riprovato a cercare la felicità da quella parte, avendovi trovato in prevalenza dolore e insoddisfazione, hanno concluso che ogni azione mirante ad accrescere gli averi e i piaceri è radice di dolore e che perciò, meno si fa, meno si soffre.
Ridurre i bisogni e le azioni allo stretto necessario è divenuto l’ideale di vita di asceti e monaci per molto tempo.
Poi è arrivato il cristianesimo ed ha scompigliato tutto. Esso sostiene che più in alto dell’azione del gaudente e della non azione dell’asceta ci sta l’amore, cioè l’azione fatta in favore degli altri, e inoltre, che l’azione egoistica confina chi la fa alla gioia piccola, invece l’azione altruistica apre alla gioia grande. La gioia piccola coincide con il godere i piaceri della vita, ed essendo facile da ottenere è dominio di tutti, quella grande invece nasce dal servizio (in pura perdita) al prossimo, ma implicando lo sforzo di andare contro le abitudini e contro l’istinto naturale, pur essendo desiderata da tutti, è meta solo di pochi.
Quando fa caldo e si ha sete, tutti bevono roba fredda e sentono refrigerio, ma dopo un po’ la sete torna e uno si gonfia di bevande fredde e suda e beve. Convincere la gente a non farlo è tempo sprecato, invece i beduini del deserto, che di caldo se n’intendono, quando il sole è forte, anziché spogliarsi come facciamo noi, hanno imparato che è meglio coprirsi e prendere bevande calde. Non sono loro i matti! Anch’io, al bazar di Istanbul, cotto dal caldo, scoppiai a ridere quando un ragazzo portò del tè bollente su uno strano vassoio a forma di bilancia, però, bevutolo, non ebbi più sete, e per lungo tempo provai un senso di benessere.
Molte sono le azioni che approviamo perché tutti fan così, senza pensare che sono sbagliate, e deridiamo quelli che, uscendo dal coro, agiscono correttamente. Ad un certo punto, l’uomo, se vuol essere pienamente tale, deve dare una sterzata alla sua vita e immettersi, non senza fatica, sulla strada giusta. Lo sforzo iniziale verrà ripagato in breve tempo!
Il cristianesimo assicura che c’è vantaggio a “convertirsi”, perché nella nuova direzione ci sono livelli di gioia che da altre parti sono impensabili: tutto ciò che di importante la gente cerca nelle cose materiali lo si trova nella direzione dello spirito, anzi, lo spirito ce lo dona appena gli si dia una possibilità di offrircelo.
Spirito, amore, altruismo e gioia grande: finora si è parlato di tutto ma non del bandolo della matassa! Dov’è il punto di ingresso a questo mondo che offre così tanto? Ebbene: “Queste cose sono tenute nascoste ai sapienti e rivelate ai piccoli” (Mt 11,25) e sono proclamate in modo che, chi ha il cuore indurito, pur udendo non comprende e pur guardando non vede. (Mt 13,14)
Questo mondo ha punti di accesso ovunque, ma sono ben mimetizzati, e solo chi è umile e mite, quando e dove meno se l’aspetta, vede aprirsi piccoli pertugi dai quali entrare, e se persevera nelle azioni “conformi” gode di questo mondo in funzione di quanto è disposto a “spendersi”. Chi entra in questa dimensione non deve meravigliarsi se i suoi amici lo considerano uno che non sa stare al mondo, uno sfasato, un vecchio, un rinunciatario, un limitato, un retrogrado, perché essi non possono vedere il tesoro che egli ha trovato, ed è normale che i suoi interessi siano cambiati e non guardi più la bigiotteria che prima tanto lo attraeva.
Le società moderne escludono Dio in partenza e questo atto di superbia è l’inizio della loro fine! Volendo fare senza Dio, tutto ciò che è relativo alla parte fondamentale della persona, denominata spirito, viene perso, e l’uomo, così menomato, non potrà mai trovare equilibrio.
L’uomo che chiude Dio fuori dalla sua vita non fa che rinchiudersi dentro un sacco buio e perdere ogni riferimento.
Così, il lavoro che era già difficile da fare con l’aiuto del “forte” diventa impossibile se affrontato da soli. Spetta all’uomo slegare la bocca del sacco, chiusa dall’interno, e mettere fuori la testa; Dio aiuta tutti, ma solo se si lasciano aiutare. Basta un po’ di umiltà e si viene sommersi di aiuto.
Un popolo senza Dio lascia che nelle persone prevalga l’egoismo; questo dilaga e nessuno ha più il tempo di discutere e risolvere i problemi che riguardano la vita in comune. Nessuna azione si fa più gratuitamente e anche le organizzazioni politico-sociali diventano luoghi privilegiati per fare i propri interessi.
La gente senza Dio è sempre pronta a predare, e si può tenere a bada solo con il bastone o con i cani da guardia, oppure si può stordire con la pubblicità commerciale e con la propaganda politica. In questo clima, l’esistenza di uno Stato, che con la forza mitighi le disuguaglianze, le ingiustizie e gli squilibri più gravi, diventa necessaria.
Gli stati nascono e crescono con il compito di governare le esagerazioni e le degenerazioni dell’egoismo, perciò non possono picconare la radice che li ha generati e che li sostiene, sarebbe un suicidio.
I governanti sono dei sensali che vivono di mediazione e hanno vantaggio se le parti non si parlano. Più cresce la turbolenza fra la popolazione e più c’è bisogno di Stato. I governi tolgono a chi in quel momento è in calo di consenso  e danno a chi è in crescita, senza dimenticare di nutrire sé stessi adeguatamente. Ad essi non importa che il prezzo del mercanteggiato sia equo, basta che si raggiunga un accordo.
Gli stati, così come li conosciamo, non sarebbero nemmeno capaci di essere giusti, sani e buoni, perché, per farlo, dovrebbero introdurre una “nozione” che hanno escluso in partenza, perciò, ogni modifica e miglioria organizzativa può solo renderli un po’ più efficienti, ma mai sufficienti o buoni, come si aspetterebbe il popolo. La nozione risolutiva da introdurre si chiama Dio.
Se a Dio venisse riconosciuta cittadinanza piena, allora l’uomo troverebbe utile servire le Sue leggi e creerebbe organizzazioni basate sull’altruismo. Queste genererebbero da subito equilibrio, rendendo superfluo lo Stato riequilibratore.
Più Dio entrerà a far parte della società, più lo Stato tradizionale si ridurrà di dimensione fino a sparire quando tutte le persone saranno diventate altruiste.
Aprire le porte a Dio non significa dare il potere ai preti e ai sedicenti cristiani, essi hanno già fatto abbastanza danni per il passato; significa semplicemente far crescere uomini equilibrati e saggi e lasciare a loro il compito di inventare  forme di governo buone.
Gli uomini di cui stiamo parlando, così come curano la loro crescita fisica e intellettuale, coltivano anche la  maturazione spirituale, in modo da diventare capaci di ridurre gli squilibri e il disordine che incontrano.
Queste persone rifiutano i lavori “insani” e parassitari anche se devono rinunciare a paghe facili; diventano bravi nella loro professione e non sfruttano nessuno, ma nemmeno si lasciano sfruttare; soccorrono i bisognosi e scoraggiano i fannulloni; non si lasciano incantare dalle mode, dalle pubblicità e dalle propagande, ma le smascherano in modo che la gente non sostenga proprio ciò che le reca danno; e se c’è qualche ideale da difendere formano squadra e si rendono utili con spirito di servizio.

Quando gli uomini di questo tipo saranno tanti, le nostre società diventeranno luoghi di giustizia e di pace.